Al momento sembrano esistere valide prove relative alla specializzazione emisferica nei primati non umani, in particolare negli scimpanzé. Questi ultimi mostrano asimmetrie comportamentali e neuroanatomiche a livello di popolazione ed è ormai evidente che alcuni dei comportamenti lateralizzati siano correlati a specifiche regioni cerebrali. I recenti studi preliminari suggeriscono che fattori genetici e non genetici influenzino l’espressione della preferenza manuale negli scimpanzé, ma, per ottenere risultati concreti, dette variabili necessitano ulteriori approfondimenti e, nonostante le considerevoli prove accumulate negli ultimi 15 anni, vi sono ancora delle aree di problematicità in riferimento alla lateralizzazione a livello di popolazione di vertebrati.
Innanzitutto, la prova della dominanza manuale sembra avere peso solo per quanto concerne gli scimpanzé in cattività: dimostrazioni di asimmetrie negli scimpanzé selvatici sono meno frequentemente riportate, se non assenti (vedi McGrew & Marchant, 1997). Il perché siano state riscontrate differenze tra scimpanzé in cattività e selvatici non è ancora stato chiarito nonostante siano state teorizzate diverse ipotesi (spesso contrastanti tra loro). Per menzionarne alcune: gli studi su animali in cattività sono stati condotti con l’utilizzo di campioni di taglia relativamente grande ed ancora, sono state utilizzate buone procedure di controllo sperimentale (non applicate, invece, negli studi effettuati sugli scimpanzé selvatici). Dato l’alto numero di differenze metodiche tra gli studi con scimpanzé in cattività e selvatici, si rivelano ancor più necessarie misure in grado di assestare tali diversità per poter giungere a conclusioni reali circa le dissomiglianze tra i suddetti gruppi.
Secondariamente, la distribuzione relativa di soggetti mancini e destrimani negli scimpanzé è di circa 2:1 o 3:1 (a seconda delle misurazioni) e tali valori sono notevolmente più bassi di quelli riportati nei campioni umani (Raymond & Pontier, 2004). Anche la natura di dette differenze rimane oscura, nonostante alcuni suggeriscano spiegazioni legate a fattori genetici ed altri a fattori pregressi o culturali (Corballis, 1997). E’ indubbia la necessità di ulteriori dati per poter approfondire con più precisione l’argomento ed è altresì indubbia l’esigenza di studi su gemelli i cui risultati si rivelerebbero particolarmente utili al fine di esplorare il ruolo di fattori genetici e non genetici nello sviluppo della specializzazione emisferica; tale mancanza potrebbe essere colmata da dati provenienti da alcune delle specie che presentano abbastanza frequentemente nascite gemellari, come i tamarins ed i marmosets.
Ed ancora, esistono similitudini tra le asimmetrie comportamentali e neuroanatomiche osservate negli scimpanzé e nelle altre specie di primati non umani, ma vi sono anche interessanti differenze degne di ulteriori approfondimenti. Tante teorie sulle origini della specializzazione emisferica si basano su punti di vista neurofisiologici che enfatizzano il ruolo del linguaggio o di altri processi cognitivi quali capacità selezionate nel processo evolutivo. I valori emersi riguardo agli scimpanzé confermano le precedenti rivendicazioni circa il fatto che il linguaggio non è una condizione necessaria per l’espressione di asimmetrie cerebrali; piuttosto, l’asimmetria cerebrale sembra essere un attributo fondamentale del sistema nervoso centrale dei primati e degli altri vertebrati (Rogers & Andrew, 2002). Più di recente è stato suggerito che la specializzazione emisferica dovrebbe essere considerata in una più ampia struttura evolutiva, probabilmente abbinata a fattori sociali o di sviluppo. Una delle più intriganti teorie emerse sull’evoluzione della specializzazione emisferica è stata proposta da Vallortigara e Rogers (in stampa).
I due studiosi dibattono sul fatto che il dualismo del funzionamento sia inconfutabile in assenza di asimmetrie a livello di popolazione. Piuttosto che incentrare l’attenzione sulla dualità del funzionamento, Vallortigara e Rogers sostengono che la conformità negli sbilanciamenti direzionali sia stata selezionata tra i comportamenti sociali quale strategia stabile sotto il profilo evolutivo al fine di inquadrare la relazione tra preda e predatore. Il punto finale dell’ambito applicativo di detta teoria nei confronti della variazione nei primati, resta da vedere ma questo approccio offre certamente un nuovo punto di vista nello studio comparativo della specializzazione emisferica nei primati e negli umani.